In un recente e molto approfondito articolo, che indaga il mondo della fast fashion, Spirit of St. Louis, azienda artigiana del Made in Italy fa emergere in tutta la sua durezza l’impatto che la moda di consumo sta avendo sull’ambiente e sulle società sia ricche che povere.
Bastano pochi ma significativi dati per descrivere il disastro socio-economico-ambientale in corso.
Nell’articolo pubblicato sul blog aziendale, Spirit of St. Louis non risparmia nomi e cognomi dei responsabili del degrado di cui la fast fashion è solo uno dei tanti segnali.
In un altro articolo dal titolo, Tra lusso e fast fashion: la terra di mezzo popolata da marchi invisibili (leggi) il blog L’inkiesta mette in risalto il ruolo che le piccole aziende della moda di qualità possono svolgere nella lotta all’inquinamento, allo spreco di risorse e allo sfruttamento dei più poveri.
In questo senso il brand vicentino (Spirit of St. Louis), che nel suo blog ama raccontare il dietro le quinte della moda sartoriale artigianale, sembra aver colto la palla al balzo per fare una propria indagine di cui di seguito riportiamo le parti più salienti e interessanti.
Table of Contents
L’impatto ambientale e sociale della fast fashion: come affrontare la sfida globale
L’articolo prende spunto da alcuni studi che hanno misurato l’impatto che la fast fashion sta avendo su diversi piani, per i suoi effetti sull’ambiente e sulle economie mondiali. Numerosi studi hanno evidenziato il significativo impatto ambientale causato dall’industria della moda. Tra questi, l’emissione di gas serra. Non solo ma vengono indicate altre gravi controindicazioni, come l’utilizzo di risorse idriche e la generazione di rifiuti. Questi rifiuti vengono bruciati in gigantesche discariche o finiscono nella catena alimentare sotto forma di nano plastica.
Uno dei problemi derivanti dalla fast fashion è il fenomeno del “dumping di abbigliamento”.Questo fenomeno ha causato l’afflusso di migliaia di tonnellate di vestiti usati nei Paesi africani come il Ghana. I Paesi occidentali producono e consumano grandi quantità di abbigliamento a basso costo, che viene indossato per brevi periodi e successivamente donato o venduto come abbigliamento usato. Il Ghana è diventato uno dei principali destinatari di questi vestiti usati, con mercati secondari e centri di smistamento come il mercato di Kantamanto ad Accra.
Sebbene l’arrivo di abbigliamento usato possa sembrare un’opportunità per l’acquisto di abiti a prezzi accessibili, ha causato danni all’industria tessile locale. L’enorme offerta di abbigliamento usato proveniente dall’estero ha reso difficile per i produttori locali competere, portando alla chiusura di molti stabilimenti e alla perdita di posti di lavoro. Organizzazioni come Oxfam hanno condotto studi sull’impatto del dumping di abbigliamento nelle economie africane, evidenziando gli effetti sociali ed economici negativi che questo fenomeno ha sulle comunità.
La fast fashion è un’opportunità o un rischio per le economie più povere?
Il dumping di abbigliamento ha conseguenze sia positive che negative. Da un lato, offre un accesso economico all’abbigliamento a persone che altrimenti non potrebbero permetterselo. D’altra parte, danneggia l’industria locale, crea dipendenza dall’abbigliamento usato e ha un impatto ambientale devastante.
Ci sono diversi fattori che contribuiscono al flusso di vestiti usati verso il Ghana e altri paesi africani. Tra questi ci sono le donazioni da parte dei Paesi occidentali a organizzazioni di beneficenza che possono vendere o distribuire gli abiti usati ai paesi in via di sviluppo. L’infrastruttura di importazione e la domanda di abbigliamento usato nei paesi africani sono altri fattori che favoriscono l’arrivo di tali vestiti. Inoltre, la globalizzazione ha facilitato il commercio internazionale, compreso il commercio di abbigliamento usato, consentendo flussi di merce che si spostano attraverso i continenti in modo meno regolamentato e limitato rispetto al passato.
I numeri impressionanti dell’impatto della fast fashion sul mondo
Quando si parla di abbattimento delle soglie di gas serra, l’attenzione va subito alle automobili a diesel ed ai voli intercontinentali, ma la moda veloce ha un impatto molto maggiore e più grave.
La fast fashion non influisce solo sul Ghana, ma anche su altri paesi poveri dell’Africa. La Nigeria è uno dei maggiori importatori di abbigliamento usato in Africa, con centri di smistamento come il mercato Balogun a Lagos noti per la vendita di abiti provenienti da diverse fonti internazionali. In Kenya, il mercato di Gikomba a Nairobi è famoso per il commercio di abbigliamento usato, mentre in Uganda luoghi come il mercato di Owino a Kampala offrono una vasta selezione di abiti provenienti da tutto il mondo. Anche la Tanzania, con la città di Dar es Salaam, e il Benin, con la città di Cotonou, sono coinvolti nel commercio di abbigliamento usato.
La fast fashion produce inquinamento atmosferico ed emissioni di gas serra. Ogni anno, diverse centinaia di migliaia di tonnellate di abbigliamento usato arrivano in Africa. L’industria della moda contribuisce al 2-10% delle emissioni globali di gas serra, principalmente a causa della produzione e del trasporto di materiali tessili e abbigliamento. Le emissioni di gas serra dell’industria della moda ammontano a circa 1,2 miliardi di tonnellate di CO2eq all’anno, corrispondenti al 4% delle emissioni globali totali.
l’annoso problema delle nano plastiche
Le nanoplastiche, particelle di plastica di dimensioni microscopiche, sono presenti nei tessuti sintetici o si formano dalla degradazione delle fibre plastiche durante il lavaggio o l’usura degli abiti. Queste nanoplastiche vengono rilasciate nell’ambiente durante il ciclo di vita degli abiti e possono avere impatti negativi sugli ecosistemi acquatici e sulla fauna marina. Possono causare danni digestivi, alterazioni comportamentali e accumulo di tossine negli organismi marini. Inoltre, l’accumulo di nanoplastiche lungo la catena alimentare può rappresentare rischi per animali predatori e per la salute umana, con possibili danni a lungo termine. La persistenza delle nanoplastiche nell’ambiente acquatico e terrestre minaccia la biodiversità e gli ecosistemi.
In conclusione, la fast fashion ha un impatto significativo sull’ambiente e sulle economie dei paesi poveri. Il dumping di abbigliamento usato danneggia l’industria tessile locale, mentre le emissioni di gas serra e le nanoplastiche causano danni ambientali e rappresentano rischi per la fauna marina e la salute umana.
Quali sono i principali produttori di fast fashion?
Molti marchi noti sono associati al concetto di fast fashion. Tra i principali produttori di fast fashion ci sono:
- Zara (gruppo Inditex): Zara è uno dei marchi di fast fashion più famosi ed è parte del gruppo Inditex, che possiede anche altri marchi come Pull&Bear, Massimo Dutti, Bershka e Stradivarius.
- H&M (Hennes & Mauritz): H&M è un altro marchio di fast fashion molto popolare, noto per la sua produzione rapida e accessibile di abbigliamento.
- Forever 21: Forever 21 è un marchio di fast fashion statunitense che offre una vasta gamma di abbigliamento economico e alla moda.
- Primark: Primark è un marchio irlandese che si è espanso a livello internazionale, offrendo abbigliamento a basso costo.
- Topshop: Topshop è un marchio britannico che ha guadagnato popolarità nel settore del fast fashion.
Ci sono anche alcuni marchi italiani che potrebbero essere considerati fast fashion:
- Benetton: Benetton è un marchio noto per il suo abbigliamento alla moda e accessibile. Fondata nel 1965 a Ponzano Veneto, in Italia, l’azienda ha negozi in tutto il mondo.
- OVS: marchio di abbigliamento a prezzi accessibili con sede a Mestre, in Italia, e operazioni sia in Italia che all’estero.
- Terranova: marchio che offre abbigliamento economico e alla moda. Con sede a Verona, in Italia, l’azienda è presente in diversi paesi.
Questi sono solo alcuni esempi di marchi associati al concetto di fast fashion, ma ci sono molti altri attori nel settore. È importante sottolineare che la responsabilità del fenomeno del fast fashion non ricade esclusivamente sui produttori, ma coinvolge anche i consumatori, i fornitori di materie prime e l’intera catena di approvvigionamento dell’abbigliamento.
Chi sono i principali consumatori di fast fashion?
Il dato più interessante dell’articolo pubblicato sul blog di Spirit of St. Louis è quello demografico.
L’avanguardia e la più grossa fetta di consumatori è per stragrande maggioranza il mercato dei giovanissimi.
Questo dato fa a pugni con la narrazione sulla generazione più sensibile ai problemi dell’ambiente da cui è nato il movimento Fridays for future.
I Paesi con il più alto consumo di fast fashion nel mondo sono gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Cina, l’India e il Brasile. Gli Stati Uniti si distinguono per un alto consumo di abbigliamento e la presenza di numerosi marchi di fast fashion. Il Regno Unito vanta un’industria della moda vivace ed è un centro di tendenze di consumo. In Cina, si registra un notevole aumento del consumo di abbigliamento grazie alla grande popolazione e alla crescente classe media. L’India, con la sua vasta popolazione in crescita nella classe media, sta vivendo un notevole aumento del consumo di abbigliamento. Il Brasile rappresenta un significativo mercato di consumo in Sud America, con un forte interesse per la moda e i marchi di fast fashion.
E in Europa?
In Europa, il Regno Unito è considerato uno dei principali mercati di fast fashion, con Londra che svolge il ruolo di capitale della moda e centro delle tendenze di consumo. La Germania è un importante mercato di consumo in Europa, compreso l’abbigliamento, con città come Berlino e Monaco di Baviera note per la loro scena di moda e la presenza di numerosi marchi di fast fashion. La Francia è famosa per la sua influenza nel settore della moda e il suo stile elegante, con Parigi che è considerata una delle capitali mondiali della moda.
Nonostante il concetto di fast fashion possa sembrare in conflitto con l’alta moda francese, i consumatori francesi partecipano comunque al consumo di abbigliamento economico e alla moda. La Spagna è nota per la sua forte presenza di marchi di fast fashion come Zara (Inditex), con una cultura di moda accessibile e alla moda. Grandi città come Barcellona e Madrid sono importanti centri di tendenze di consumo. L’Italia ha una lunga tradizione nel settore della moda, ma anche il consumo di fast fashion è presente nel paese, specialmente tra i consumatori più giovani.
Generazione di ambientalisti o di inquinatori?
Un’indagine condotta nel 2020 dal GlobalWebIndex ha rivelato che i consumatori più giovani sono generalmente più propensi a acquistare abbigliamento di fast fashion rispetto ai consumatori più anziani. Secondo il rapporto, il 40% dei consumatori tra i 16 e i 24 anni aveva acquistato abbigliamento di fast fashion nell’anno precedente, rispetto al 25% dei consumatori di età superiore ai 55 anni. Questi dati indicano che le fasce d’età più giovani sono il principale target di consumo per la fast fashion.
L’articolo originale indica per ciascuna delle fasce d’età le ragioni che le portano a consumare questo tipo di prodotti. Per ragioni di spazio non possiamo riportarle, comunque le fasce sono le seguenti:
- Millennials
- Generazione Z
- Adolescenti
- Giovani adulti
Come contrastare gli effetti nefasti della fast fashion?
L’articolo di Spirit of St. Louis elenca tutta una serie di contromisure che le aziende possono mettere in atto per contrastare la deriva a cui siamo destinati.
Senza indugiare su banali ovvietà, Spirit of St. Louis indica strategie di marketing e di produzione intelligenti, ma indica soprattutto nei consumatori il ruolo risolutore.
Sta infatti a noi dare prova di intelligenza scegliendo prodotti alternativi che pure esistono sul mercato.
Come accusa il pezzo di L’inkiesta non dobbiamo aspettarci che ci vengano messi in primo piano dai media e dai social. Esiste infatti un mercato della pubblicità che vede i piccoli produttori impossibilitati a competere con i budget miliardari delle multinazionali.
È quindi necessaria la costante ricerca dei piccoli brand locali o comunque artigianali che si trovano facilmente online o agli eventi di settore.
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Fonte:
LEGGI L’ARTICOLO ORIGINALE apparso sul blog di Spirit of St. Louis
Fonti riportate dall’articolo:
Fast fashion, impatto ambientale
I rifiuti della fast fashion soffocano il Ghana
La fast fashion è fuori moda: le raccomandazioni della UE