Austerity, cos’è e come funziona – parte 1

austerity

Austerity cos'è e come viene applicata in Italia?
Tutto passa attraverso l'attuazione dei trattati europei che vincolano la spesa ed il rimborso del debito pubblico secondo norme stringenti e fiscalissime.

Vediamone i tratti salienti.

AUSTERITY

La prima volta che sentii utilizzare con frequenza, quindi non casualmente, i termini austerità e austerity fu all’inizio degli anni 90.
Erano i tempi di Baresi, Gullit, Van Basten e Maradona ed erano entrati nel gergo comune perché i cartellini e gli ingaggi dei giocatori avevano raggiunto vette tanto assurde da essere ritenute scandalose.
Oggi, visti i livelli del calcio odierno, la cosa può sembrare persino ridicola, ma questa è un’altra storia.
L’austerity venne imposta dalle varie autorità federali alle dirigenze dei club, sia a livello nazionale che continentale, e fissava dei tetti massimi anche ai bilanci delle società; cosa che di riflesso limitava gli emolumenti di giocatori, manager, procuratori, ecc..

Il motivo ufficiale era una sorta di moralizzazione del sistema calcio ed una prevenzione contro il deflagrare di fallimenti in serie delle società sportive che in quest’ultimo decennio, abbandonato praticamente subito quel nuovo modello, si è puntualmente verificato sino a mettere a rischio anche grandi club come Inter e Milan.

Oggi una cosa simile è stata introdotta anche nei bilanci pubblici degli Stati aderenti l’eurozona; in un certo senso per le stesse ragioni.
A dire il vero l’introduzione dell’austerità nei nostri conti pubblici è avvenuta nel 2012 nei modi che vedremo meglio in futuro, ma che vorrei iniziare a spiegare in questo articolo.


Il vocabolario dell'austerity

Ora però è necessario che tu prenda dimestichezza con termini e significati senza passare attraverso le opportunistiche distorsioni che i media danno della realtà, indipendentemente dal coro da cui provengano.
Qui, in questo blog, non si fa differenza tra buoni e cattivi, tra pedine bianche o pedine nere.
Ciò che importa è dare le basi per riuscire a districarsi dalla matassa che ci avvolge indipendentemente dal colore del filo che abbiamo scelto per impacchettare le nostre opinioni personali.

Con il passare del tempo il concetto di debito è stato trasmutato in quello di peccato e l’austerity altro non è che la forma più sottile e al contempo esplicita di espiazione delle colpe dei debitori.
Solo che non ce ne accorgiamo.
Questa evidenza scaturisce impietosa quando andiamo a vedere chi sono gli Stati promotori di questa stretta alla spesa pubblica.
Ovviamente i Paesi continentali, ritenuti le formiche d’Europa versus le cicale del sud, i PIIGS, sono i soggetti più interessati all’applicazione dell’austerity in tutta l’eurozona.
Non è forse un caso se i concetti di debito e peccato in tedesco vengano verbalizzati con la stessa parola.
Del resto nel nord dell’Europa il rigore è pane quotidiano, giusto?
Senza entrare in contraddizione con questa ennesima balla, facciamo come se fosse tutto vero e andiamo a vedere di cosa si tratti nei fatti.


L'austerity ha il compito di limitare la spesa pubblica e di aumentare le entrate dello Stato

L’austerity ha il preciso compito di imporre limiti di spesa pubblica con l’obiettivo di consentire, ovvero obbligare, tutti gli Stati dell’unione a rientrare entro rigidi parametri macro economici.
Questi parametri sono contenuti nei famosi trattati europei.
I trattati europei sono accordi intervazionali, fatti dagli Stati membri della zona Euro che hanno più potere sui cittadini delle Costituzioni nazionali e in alcuni casi le sostituiscono.

I principali trattati europei sono: Maastricht, Basilea, Lisbona, Dublino e Vhelsen.
I vincoli economici sono inseriti principalmente in due di questi trattati, i più importanti: quelli di Maastricht e di Lisbona (sedi in cui i due trattati vennero controfirmati dai rappresentanti dei singoli Paesi aderenti, per l’Italia Romano Prodi e Massimo D’Alema).
Alcune di queste norme restrittive hanno dato forma a quello che chiamiamo Fiscal compact.

Il Fiscal compact non è altro che il consolidamento di precisi canoni che non fanno capo ad una virtuosa condotta della macchina pubblica, ma piuttosto ad una rigorosa gestione della contabilità dello Stato.


Il Six pack

In seguito all’introduzione del Fiscal compact venne approvato il Six pack, un rafforzamento del patto di stabilità e crescita con cinque nuovi regolamenti comunitari e una direttiva europea.
Il Six pack ha l’obiettivo di rendere ancor più vincolanti i principi del Patto di stabilità e crescita.

I sei regolamenti hanno un numero identificativo come nome e sono tutti stati approvati nel 2011.

Il Six pack è in sostanza un meccanismo di sorveglianza sui dati macro economici degli Stati aderenti che, in caso di mancato rispetto delle norme consentono alla Commissione europea di intervenire con la richiesta di misure correttive atte ad eliminare quegli squilibri di bilancio.

Tra i principali vincoli imposti c’è quello del limite del 60% nel rapporto debito pubblico/PIL, quello del 3% di deficit masimo consentito rispetto al PIL, mutato poi nel sostanziale PAREGGIO DI BILANCIO (0%).


Cosa significano questi limiti?

Come stiamo per vedere, il primo limite prevede che tutti gli Stati appartenenti all’eurozona debbano rientrare nel rapporto debito/PIL del 60% - ovvero debbano ridurre della corrispondente eccedenza il proprio bilancio - entro l’anno 2040.
Il secondo lo abbiamo già trattato molte volte, impegna i Governi a non sforare il tetto di deficit per evitare il consolidamento del deficit stesso in ulteriore debito pubblico.

Il terzo vincolo impone che ogni Stato non possa fare deficit, quindi che entrate (prelievo fiscale e introiti dai servizi, ecc.) e uscite (spesa pubblica per stipendi e servizi, ecc.) si compensino.

Come si ottiene il raggiungimento di questi obiettivi?
Semplice, con riduzione della spesa in prossimità dello zero, aumento delle tasse e tagli, tagli, tagli.

È un’opinione?
Certo che no.
È detto a chiare lettere non solo dalla Commissione europea, con l’emanazione delle varie direttive, ma viene espressamente ribadito da economisti e comunicatori che vedi in televisione o che senti in radio tutti i giorni e tutte le sere, da Luigi Marattin in quota al PD, Michele Boldrin, Mario Monti, Udo Gumpel, Oscar Giannino, Emma Bonino, Lilli Gruber e così via.


Le ricette neoliberiste

E lo dicono chiaramente che rispettare i trattati è necessario per guadagnarci il rispetto di tutti.
Per convincerci scaricano la colpa sulla nostra pigrizia e sullo Stato (di cui alcuni di loro hanno ricoperto o ricoprono ruoli di Governo a fasi alterne).

Secondo le loro teorie liberiste lo Stato non deve poter gestire i soldi altrimenti crea sprechi e ruberie.
Meglio darli in gestione ad un sistema bancario finalmente indipendente dalla politica che, come abbiamo visto, ha saputo vigilare benissimo sia sui debiti degli Stati che sui risparmi privati, grazie anche al perfetto funzionamento degli organi preposti al controllo come la Consob e la Banca d’Italia...
I risparmiatori di Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Popolare di Bari ed altre ringraziano sentitamente.
Eh sì, perché la soluzione ad una partitocrazia corrotta, non è la sua sostituzione con una nuova onesta (come avvenne con Mani Pulite... si fa per ridere); meglio metterla in mano ad un sistema bancario ancora più corrotto ed inefficiente.
I risultati lo dimostrano.
La perfetta gestione di tutto il comparto dai casi di Lehmann brothers e Parmalat, in avanti effettuata dagli organi di ispezione e di controllo parlano chiaro.


 

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L'austerity è il successo dell'Euro

Ma è lo stesso Mario Monti ad esaltare il modello europeo.
Grazie al metodo neo liberista, che prevede che lo Stato si faccia da parte affinché il mercato possa imporre le regole del rigore, la Grecia ha imparato come ci si deve allineare a Paesi forti come la Germania.
Secondo Monti la Grecia rappresenta la prova del successo dell’Euro (video).

Quale successo?
Ma quello dell’aver piegato un popolo intero alle attitudini economiche e finanziarie dei tedeschi.
E se fino ad ora non è stato sufficientemente chiaro il perché ogni economia deve avere la propria moneta, il caso greco è lì a ricordarcelo tutte le volte che vogliamo.
Come lo stesso impianto di regole abbia già modificato anche il modello italiano lo descrive alla perfezione un film: PIIGS, “tratto da una storia vera, la tua” (guardalo).


La questione delle cessioni di sovranità

Quale formula è stata scelta per mettere in pratica il Fiscal compact?
La più efficace e vincolante in assoluto: l’inserimento del pacchetto di riforme direttamente in Costituzione.
Ebbene sì, l’Italia è stata il primo Paese europeo che si è sentito in dovere di inserire direttamente in Costituzione delle norme incostituzionali.
Il MES (che è uno strumento contenuto nel Fiscal compact) collide con la Costituzione in quanto non rispetta il principio secondo il quale l’Italia può cedere pezzi di sovranità solamente a condizioni di parità con gli altri Stati.
Il pareggio di bilancio ed il vincolo del 3% sono invece contrari gli articoli 3 e 47.
Più nel dettaglio:
il deficit (indebitamento annuo del bilancio statale) servendo a creare risparmio privato (art. 3 e 47) e a perseguire politiche di eguaglianza sostanziale tra i cittadini (art. 3, comma 2) è una norma chiave sui compiti istituzionali dei pubblici poteri di tutta la Costituzione, nell’ambito della loro condizione (dei cittadini stessi) di lavoratori (art. 1, 4 e 36).
Quindi il deficit non può essere limitato nell’ammontare secondo un indice prefissato una volta per tutte.
L’art. 11 viene violato dal fatto che un trattato internazionale, non può portare a “cessioni” di sovranità - ovvero alla “sospensione” della sovranità senza limiti di tempo - ma eventualmente la sovranità può solo essere “limitata”.
Quindi al massimo si può trattare di sospensioni temporanee - NON DEFINITIVE - previste in casi speciali, non di cessioni.


Fine della prima parte.

Leggi la prima parte

Leggi la terza parte

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